Siamo nella Parigi fine-secolo: lo scrittore Hubert Lubert ha da poco intrapreso un nuovo romanzo, quando si accorge che il protagonista è scomparso... Si era già dato il caso di personaggi che prendono la mano all’autore, o che gli sfuggono di mano, o che si fanno sfuggenti. Da un modo di dire all’altro si arriva cosi a questo Icaro, che prende la fuga e prende il volo dal manoscritto; si invola, o è involato, volerà con le proprie ali. Prende alla lettera la finzione che lo ha messo al mondo, e si mette a girare il mondo (cioè «la vasta Parigi»), aprendo il varco a uno sparuto sciame di fratelli e cugini. Guarda, beve, ama, studia, lavora, vola per davvero, e alla fine precipita. Perché dopo tutto, oltre tutto, questa è una delle tante storie che si leggono nei romanzi. La precaria emancipazione del personaggio romanzesco fa tutt’uno con un allarmante ammutinamento delle metafore, con un «pronunciamento» delle frasi fatte. In Queneau, il personaggio narrativo non è mai una nozione ingenuamente convenzionale, non si fonda, per esempio, su un insieme di caratterizzazioni psicologiche precostituite come sua essenza individuale; tende a definirsi piuttosto come un modo di stare fra gli altri, di parlare con gli altri. Le figure del Vol d’Icare sembrano fatte di socialità pura, di pura relazionalità, si colorano delle loro forme di socievolezza, si risolvono nel tessuto connettivo del linguaggio. Tanto è vero che il libro si regge interamente sul dialogo. A un certo punto, lo scrittore Lubert si mette perfino a fantasticare di un possibile «romanzo senza personaggi». Icaro si chiede, in compenso, se le persone «reali» non siano per caso «personaggi di un’altra specie di autori». Le individualità sono i tic di un’epoca e di un ambiente, ma già filtrati in un’immagine stilizzata, al di là di ogni realismo, al di qua dell’ironia : fauna dei confrères romanzieri, abitudinari e intriganti, efficientissimi, un po’ idioti e sornioni; candida, caparbia sprovvedutezza del detective privato; sussiegosa e bonaria incompetenza del «medico di fiducia», con l’armamentario imperturbabile della farmacopea ottocentesca e i saggi di psicanalisi ante litteram, farsa e vaudeville dell’adulterio borghese. Intorno, il limbo ospitale, benevolo del proletariato queneauiano; in prospettiva, i travolgenti progressi dei mezzi di locomozione: bicicletta, automobile, problema del volo - che è per l’appunto la vocazione, il destino di Icaro. Guido NERI
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