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Galassia - La Tribuna - Scritta Galassia stretta

 
 
Codice:2857      
 
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Media: 8.50
 
N. Volume:   42
Titolo:   Gli schiavi del non-A
Autore:   Alfred E. VAN VOGT (ps. di Alfred Elton VAN VOGT)
   Traduzione: Lucia MORELLI
 
Data Pubbl.:   1 Giugno 1964 ISBN:    non presente
Titolo e/o Data Orig.:   The Pawns of Null-A, 1956
Note:  
 
Genere:   Libri->Fantascienza
 
Categoria:   FANTASTICO Rilegatura:   Brossura
Tipologia:   Principali Dimensioni:   124 x 184
Contenuto:   Romanzo  N. pagine:   224
 
 
  Ultima modifica scheda: zecca_2000 11/01/2019-15:29:41
 
   
 

 
 
È impossibile tentare una definizione della produzione vanvogtiana tale da accontentare tutti i lettori: già una introduzione che si era limitata a riferire le critiche e gli elogi di esperti celebri è sembrata, agli entusiasti di questo autore, una offesa al loro beniamino, come testimoniano numerose lettere ricche di sottolineature che invocavano lodi incondizionate allo scrittore canadese; e, a coloro che non lo possono soffrire, è parsa un immeritato elogio. Si può dire senz'altro che Van Vogt è l'autore di fantascienza che più di ogni altro ha scatenato attorno a sé polemiche violente tra esaltatori e detrattori, egualmente accaniti; e questa è in ogni caso una dimostrazione di vitalità non indifferente e di vasti motivi di interesse nella sua produzione.
Questo romanzo, The pawns of Null-A, è il seguito, se possibile ancora più vorticoso di un altro romanzo notissimo, The world of Null-A, del quale è apparsa un'edizione italiana una decina di anni fa. Qui tutte le fila momentaneamente abbandonate dall'autore nel momento in cui Gilbert Gosseyn riconosce di essere il simulacro vivente di Lavoisseur vengono riprese, ingarbugliate, separate, ritessute in una tela che si estende compiutamente ad abbracciare un intero universo, come si conviene alla mentalità cosmica e apocalittica di Van Vogt. È chiaro che la teoria della Semantica Generale, che Van Vogt idoleggia in questo come in altri romanzi, è considerata con sospetto — per dire poco — dalla scienza e dalla filosofia ufficiale. E' vero, come afferma vigorosamente Van Vogt, che la filosofia aristotelica ha fatto il suo tempo: anzi l'esagerata fedeltà a essa per quasi due millenni ha intralciato e forse addirittura ritardato il progresso; molto più dubbio è che alla filosofia aristotelica non vi sia altra alternativa se non quella miracolistica proposta da Van Vogt: il quale, espertissimo teorizzatore di dianetica, di ipnotismo e di parapsicologia, per contro sul piano filosofico non trova di meglio che superare la concezione aristotelica in nome d'una concezione fondamentale molto simile a quella del presocratico (e quindi prearistotelico) panta rhei. Rimane indiscutibile, comunque, che partendo da presupposti del genere, Van Vogt riesce sempre a tracciare affreschi cosmici di capzioso fascino e di grande vivezza. La sua narrazione non ha mai un attimo di cedimento e si arricchisce ad ogni pagina di nuovi colpi di scena, in una suspense che dura dalla prima all'ultima pagina d'ogni romanzo, anche se il lettore sa benissimo che l'eroe vanvogtiano non può essere sconfitto e che, magari nelle ultime righe, otterrà insieme la vittoria e l'apoteosi. La disinvoltura con cui, da abile stregone, getta nel rilucente calderone della sua fantasia migliaia di anni-luce, quadrilioni di anni, centinaia di migliaia di astronavi da battaglia e bilioni di esseri umani è già, di per sé, una sicura garanzia di successo. Tentare di fornire un riassunto indicativo anche sommario della trama de Gli schiavi del non-A, è impresa quasi impossibile: le agnizioni imprevedibili, le inversioni di fronte, le introduzioni di fattori nuovi e inaspettati sono tali e tante da rifuggire a ogni tentativo dl semplificazione: naturalmente, si scoprirà prima o poi che né Gilbert Gosseyn né Eldred Crang né la stessa Patricia Hardie (che pareva il personaggio meno enigmatico di Anno 2560), sono ciò che sembravano o addirittura ciò che credevano di essere: e i personaggi nuovi, rispetto al primo romanzo del ciclo, il Seguace, i Profeti di Yalerta, il Dio Dormiente, contribuiscono a complicare il quadro, nell'esuberante e precalcolato caos tipicamente vanvogtiano. In ogni caso, questo è un romanzo in cui l'autore non applica la paziente logica costruttiva e l'appassionato tentativo di costruire chiari ritratti psicologici come nel ciclo di Clane Linn, ma in cui per contro immette con prodigalità tutti gli ingredienti più caratteristici della sua inventiva: un potere di dematerializzazione simile a quello degli uomini-ombra, un teletrasporto degno di Ptath, complicati intrighi politici non meno sottili di quelli dell'impero di Isher, l'intervento di una macchina che ricorda quella della Casa senza tempo, superfacoltà mentali non troppo diverse da quelli degli Slan, in una sintesi quasi completa dei vari e complessi motivi che più gli sono cari. Quali che possano essere le divergenze di giudizio dei lettori a proposito di Van Vogt, resta comunque il fatto che questo romanzo è stato scelto per la nuova serie di Galassia — che intende proporre soltanto i romanzi più significativi e più rappresentativi della produzione fantascientifica proprio per questa sua caratteristica di esprimere, appunto quasi in sintesi, tutte le componenti tipiche di una varietà che, discussa e controversa quanto si vuole, resta una delle più clamorose e vistose della narrativa di science fiction dell'ultimo ventennio.