L'interesse che questo libri desta è riposta nella sessione poetica inserita tra i primi due racconti. Conosciamo già alcuni tentativi di poesie spaziali o vagamente fantascientifiche. Casi sporadici, dove la purezza del verso si inaridisce per quegli elementi che lo costituiscono, banali ed inutili ai fini della esposizione poetica. Questa volta ci imbattiamo in qualcosa di diverso, che concilia l'arte poetica con la narrazione di fantascienza. Le immagini che si avvicendano illustrano, da un lato, tutta la gamma dei sentimenti per sempre perduti, assoggettati agli ordini di una natura avara e squallida; dall'altra, le poco ortodosse intenzioni, la spinta audace, l'amore per la conquista e la ribellione che sono elementi della lirica futurista. L'autore sembra, in qualche modo, volersi agganciare alla semplicità delle immagini fluttuanti e delicate delle liriche orientali, e fuggire da quella iperbolica, dolorosa e schiacciante di una lirica interprete della vita moderna. Il secondo racconto che conclude l'Antologia possiede le caratteristiche di un lavoro degno di maestri come Bradbury o Matheson. Solo questo racconto ci può illustrare con chiarezza le grandi doti di Montanari nel creare un ambiente di tensione e di angosciosa realtà. "Di notte" può essere classificato come uno dei migliori racconti di fantascienza apparso negli ultimi anni in Italia. Negli altri racconti l'Autore prende strade più diverse. "L'ultima Dea" possiede dei pregi che possiamo dire quasi esclusivamente folkloristici e filosofici. La narrazione si svolge in modo impetuoso ed irregolare, si sente l'influenza di Joyce e Faulkner. Il racconto è forse l'unico della serie che appaia costruito secondo schemi precedentemente fissati. Tra gli altri racconti spiccano "La fine del giorno promesso" e "L'attesa" pieni un pathos tutto particolare al quale si contrappone la semplicità di una gustosa mescolanza tra fantascienza e leggenda di "Chi c'era una volta", un racconto ambientato nelle lontane epoche preistoriche.
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