Il negro Pitum, detto anche Orecchione, vive un storia fantastica. Un giorno, mentre con il suo vero nome, Gasparino Carvalhal, tenente dell'Esercito, combatte alla frontiera con la Guiana, viene inghiottito da un banco di nebbia e fatto prigioniero dalle Amazzoni, donne guerriere e rivoluzionarie che rifiutano il giogo maschile, e che lo tengono presso di loro con l'incarico di fornicatore e procreatore ufficiale e unico. Finché se ne stancano e lo ributtano al di là della nebbia, in un villaggio indio dove, assieme a due suore missionarie, scambia menzogneri o fantasiosi ricordi della civiltà da cui provengono, coinvolgendo nel dibattito il capo del villaggio, lo stregone e quindi, con un improvviso excursus, un immaginario-ma non tanto-imperatore assoluto. Costui porta come contributo un suo fantasioso-ma non tanto-organigramma d'una società governata dalle multinazionali. E Pitum, le suore, gli indios, il mondo della foresta, reagiranno aggrappandosi, appunto, ad un'utopia selvaggia.Dice Darcy Ribeiro: "Il signiicato dell'utopia selvaggia è la riflessione più profonda che potessi fare sulla nostra identità, sul nostro sangue, chi siamo noi se non siamo indios né europei? Siamo una terza cosa. Questa è la perplessità di Bolivar che cercava se stesso. E più tardi di Mario de Andrade, di Oswald de Andrade. Così suppongo che Utopia selvaggia sia una riflessione basata sulla rilettura di tanti testi. Una riflessione e una rivalutazione del nostro sapere. Una lettura delle mie letture. Una ricostruzione, parodica, di quello che chiamiamo cultura. Con una buona dose di ironia, prendendo un po'in giro l'antropologia, i teologi, il marxismo. Con lo stile del carnevale, di quello che è il carnevale come dramma umano".
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