Ciao a tutti/e
sono nuova, ma qui mi sento a casa. Alcuni giorni fa è venuto a mancare mio papà.
Sul mio facebook ho condiviso un ricordo, che alla fine di questo breve testo, condividerò anche qui.
Mio papà non amava la fantascienza e al secondo Stranimondi a Milano, lo ha detto in modo divertente, facendo ridere tutti.
Non leggeva fantascienza ma, non so per quale motivo, la libreria in fondo al corridoio, era stipata di Urania. Ora mi rendo conto di non avergli mai chiesto perché e come erano arrivati lì quei volumi. Non lo saprò mai.
Però so che stavo ferma impalata lì a leggere le quarte di copertina per scegliere con quale storia passare la serata.
È così che ho iniziato ad amare la fantascienza, che era ed è una delle grandi passioni della mia vita.
Questo è il primo motivo per cui voglio condividere anche qui il suo ricordo.
Il secondo è che, pochi giorni prima di morire mi ha detto: «sai ho fatto un sogno pazzesco, di fantascienza. Lo devi assolutamente scrivere. Il titolo è : La ragazza che vedeva l'aria? Hai capito? È una storia bellissima...»
Non so se sarà una storia bellissima, ma la scriverò. Una promessa è una promessa.
Grazie per avermi letto.
Aggiungo una foto di me con mio papà e sotto il testo che che scritto a caldo, appena rientrata da Lucca Comics.
I PAPA' NON POSSONO MORIRE
Tra qualche giorno festeggerò questo premio Urania a cui tengo tantissimo, ma non ora. Prima, molto prima, ci sono le persone che amo e oggi prima di chiunque, viene mio papà.
Cisco per i paesani, Francesco per i conoscenti, Franco per la mamma.
Mio papà è morto, anche se in me non può morire perché fa parte del mio corpo.
Mio papà aveva 95 anni ed è stato un grande fino a pochi giorni fa, imperversando come nessun altro mai, e di questo ne andava fiero, e io pure.
Sapete cosa faceva ogni volta che perdeva un collega o un amico? Ne scriveva il ricordo e lo pubblicava. Un coccodrillo, insomma, ma col cuore e mentre scriveva si commuoveva. Alla fine li ha seppelliti tutti, lui era l’ultima farnia sopravvissuta in un bosco di querce fantasma. E l’idea che nessuno lo avrebbe raccontato gli stava sul gozzo. Né io né lui abbiamo pensato che sarebbe toccato a me. Invece oggi sono scesa dal treno, ho comprato del sushi, mi sono chiusa la porta alle spalle e ho pensato, ah cazzo, finalmente a casa, ora posso piangere. È normale farlo, ma poco dopo eccomi qui. Del resto lo diceva sempre, le pere non cascano tanto lontano dal loro albero.
Per dire, da lui ho preso la forma delle mani, quelle che uso ora per scrivere. Ho preso anche molte altre cose, ma non la bellezza. Lui era un bell’uomo, uno di quelli nati in bianco nero nelle redazioni dei grandi quotidiani italiani per poi reinventarsi in un mondo di foto e film a colori.
Mio papà era un giornalista, uno di quelli che scrivevano bene. Potete immaginarvelo a Venezia, poco più che maggiorenne, con un tabarro al posto del cappotto, le unghie smaltate di nero e una dieta a base di banane perché erano nutrienti e costavano poco. Quando si trasferì a Milano aveva deciso che voleva diventare giornalista, dormiva ai giardini di Porta Venezia e faceva il filo a mia madre. Per la cronaca quello è stato il periodo delle crostate di marmellata. Gliele regalava la mia futura mamma che aveva capito che non aveva soldi per mangiare. Solo che a lui le crostate non sono mai piaciute.
Poi l’hanno assunto a La Notte e lì è restato fin quando la testata non ha chiuso.
È stato in quel periodo che ha fondato il Premiolinio, quello che si riuniva da Bagutta per segnalare i migliori articoli dell’anno. Ne ha fatte di cose.
I gokart, il centro subacqueo a Lampedusa, le prime recensioni cinematografiche a colpi di stellette. Tra le altre ha messo in piedi due mensili: la Milanese e TurismoStampa e per 40 anni ha accumulato libri mettendo assieme più di 30mila volumi.
Recentemente, però, preferiva le storie delle persone e lo faceva sulle pagine di Confidenze. Ricordi di donne, soprattutto, ma,
a un pubblico più ristretto, offriva il dietro le quinte delle interviste a personaggi come Gassman, la Vitti, Mastroianni, Sordi, le Kessler, la Koscina e
via dicendo. O aneddoti personali.
Di quella volta che tirò in piscina Borzicchi durante una serata di gala, di quel reportage sul Po con l’amante di un collega, o di quando aveva falsificato i documenti per andare in guerra.
Già, mio papà non era un uomo di pace. Con quel suo mezzo sorrisetto beffardo, adorava provocare e non ha mai smesso di farlo. Ne sa qualcosa il signor
Facebook che continuava a bloccarlo e bannarlo. Credo che si sia lasciato alle spalle decine di account colpiti da scomuniche.
Uomo brillante ma non facile, mio papà. A pregi immensi affiancava grandi spigoli. È vero, era rancoroso, ricattatorio, manipolatore, narcisista e pure un po’ st***zo, insomma slavo dentro, qualsiasi cosa intendesse mia nonna con slavo dentro. Del resto sua madre, era zaratina, e non so chi desse più filo da torce all’altro. Wanda era il suo nome, lei è la nonna che dimentico sempre di citare perché non mi piaceva, e non piaceva nemmeno a mio papà: non voleva essere come lei e invece lo era, e nemmeno io lo voglio e mi sorveglio con il fucile puntato. Questo per dire degli spigoli. Poi c’erano i pregi. Era generoso, curioso,
istrione, intelligente, intenso e cucinava in modo sublime. E, soprattutto, mi voleva bene. Non sempre, ma quasi sempre. Giovedì ho passato il pomeriggio con lui, l'ultimo mio tempo con lui. Da una settimana faticava a parlare. Mi ha chiesto come andava con Mondadori, mi ha chiesto se mi era passato il male al ginocchio, mi ha detto di andare a prendermi qualcosa da bene in cucina, non per lui, per me. E
ogni tanto annuiva a ripeteva: domenica viene Brian.
Brian è suo nipote e vive in Spagna. E lui lo ripeteva per farmi capire che gli stava bene vederlo, che l’idea lo faceva felice. Cosa che con lui non era affatto scontata. Mio papà, a turno, se la prendeva con qualcuno di noi e non ci parlava e non ci voleva vedere per mesi. Non era senilità, lo ha sempre fatto da quando ho memoria.
Mio papà è morto sabato mattina e io non me lo aspettavo. Ero convinta di avere ancora un po’ di tempo.
Al polso aveva il mio orologio, uno di quelli con il contapassi. A maggio il suo si era rotto, mi sono sfilata quello che avevo
e glielo messo. Di
solito non gli piaceva mai nulla, nessuno regalo era quello giusto, ma quello gli piaceva. Era di quel rosa pallido, che si confonde con la carne. Non se l’è mai tolto, manco quando abbiamo litigato. Manco fosse stato taumaturgico. È al suo polso anche adesso, mentre aspetta in una camera funeraria. E, a questo punto, so che
resterà con lui per sempre.
Non essere triste, mi dico. Non piangere, che cazzo piangi a fare?
Meglio ringraziare.
Ho avuto molto